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Smart City Week 2018: riscrivere il codice genetico delle nostre città

 
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Roberto Loro
Chief Technology Officer
 
 

Percorro gli stand e le conferenze della Smart City Week di Trento e sono colpito dall’eterogeneità del pubblico: bambini, giovani, adulti e anziani che curiosano negli spazi in cui si può toccare la tecnologia, i sensori, sperimentare le nuove interfacce di interazione digitale con il cittadino, ottenere l’identità digitale, ascoltare il racconto di come i servizi della Pubblica Amministrazione stiano evolvendo verso la digitalizzazione e il coinvolgimento dei cittadini.

Chi ha avviato Play & Go, una App che registra i comportamenti virtuosi di mobilità sostenibile, contribuisce a raggiungere Wuxi, in Cina, percorrendo digitalmente i 10.000 chilometri che ci separano. Un gioco che, tramite il crowdwalking, sintetizza in modo semplice e comprensibile una città smart, in cui componenti materiali e immateriali si integrano e si arricchiscono in un ecosistema dinamico in cui interagiscono amministrazione pubblica digitale, aziende private e i cittadini. 

E la tecnologia? C’è ma non si vede, o meglio, deve essere semplice e trasparente al cittadino. Ma di tecnologia ce n’è moltissima: dal monitoraggio tramite sensori e smartphone, all’integrazione dei dati con la cartografia, dagli algoritmi di identificazione dei percorsi delle biciclette ai sistemi per l’informazione in tempo reale delle variazioni nei percorsi fino ai meccanismi di partecipazione e gamification, che coinvolgono i cittadini rendendoli non solo produttori di dati ma protagonisti del cambiamento.

 

Perché rendere Smart una città non è una pura questione di tecnologia ma forse più di ingegneria genetica della città.

 

Una Smart City richiede la riscrittura di parte del suo DNA: partendo dalle infrastrutture (Smart Infrastructures) e dalle amministrazioni (Smart PA) per arrivare ai cittadini (Smart Citizens). I sensori sono forse gli elementi più pubblicizzati, ma il vero motore del cambiamento è rappresentato dai processi dell’amministrazione digitale, dai cittadini e dai loro comportamenti, un ecosistema che interagisce dinamicamente e che richiede visione, progettualità e governo d’insieme. 

Una Smart City è anche un immenso patrimonio di dati. Che sono il vero elemento abilitante, ciò che rende possibile un nuovo modello di funzionamento delle amministrazioni e della vita dei cittadini. Che consente di analizzare con indicatori oggettivi ciò che a volte diamo per consolidato. Ma sono anche uno dei primi ostacoli da affrontare, perché spesso sono difficilmente accessibili e utilizzabili. Rinchiusi nei silos applicativi in cui vengono prodotti, incoerenti e non interoperabili. Basti pensare alle decine di identità diverse e incompatibili con cui ciascuno di noi è rappresentato nei diversi servizi locali, provinciali, regionali o nazionali. Oppure al fatto che non riusciamo a integrare i dati sulla qualità dell’aria, la densità di traffico, il meteo, i dati del riscaldamento e dell’occupazione dei parcheggi per definire delle politiche misurandone poi la reale efficacia.

Rendere interoperabili i dati e i sistemi che li generano, e li elaborano è la base per avere una rappresentazione ad “alta definizione” delle città, delle amministrazioni e dei cittadini. Raccordare dati delle infrastrutture (le strade, i mezzi, il territorio), della Pubblica Amministrazione, dei cittadini e delle aziende consente di creare un sistema vascolare della città digitale, capace di far evolvere i processi e di abilitare nuove applicazioni. 

Come ha sottolineato Diego Piacentini nel suo intervento di apertura, l’ecosistema pubblico-privato è fondamentale per la realizzazione della trasformazione digitale, per l’esplorazione di nuovi modelli di collaborazione, nuovi modelli operativi e di business. 


 
 

Questi ecosistemi misti sono alla base di progetti quali ad esempio Stardust, un progetto europeo che vede Trento come città “faro” insieme a Tampere e Pamplona, in cui saranno integrati interventi infrastrutturali (ad esempio la riqualificazione energetica degli edifici o la mobilità elettrica) con una piattaforma informatica capace di far dialogare componenti molto diverse della città. 

E’ proprio per sviluppare questa piattaforma che abbiamo avviato il Co-Innovation Lab, una partnership pubblico-privato con la Fondazione Bruno Kessler, in cui sviluppiamo il “Digital Hub”, la piattaforma di  interoperabilità “open” che ci consente di realizzare progetti come quelli dimostrati alla Smart City Week, e che abilita lo sviluppo di piattaforme di coinvolgimento dei cittadini in cui la Fondazione Bruno Kessler rappresenta un’eccellenza.


 
 
 

In Dedagroup dedichiamo un’attenzione particolare alla trasformazione digitale della pubblica amministrazione locale, con un forte impegno su ANPR e sullo sviluppo di Civilia Next, la prima piattaforma Digital Native per la pubblica amministrazione. L’obiettivo non è limitato a rendere digitale ciò che prima non lo era, ma soprattutto quello di ripensare e trasformare il funzionamento di un ente grazie alla flessibilità che la digitalizzazione e l’interoperabilità rendono possibili. 

 
 

La Smart City che sviluppiamo è un ecosistema dinamico, aperto, in cui pubblico e privato cooperano con un approccio olistico, che mette a sistema, rende coerenti e rinforza le diverse iniziative smart. In cui il cittadino è al centro della progettazione e della fruizione, nonché elemento attivo di cambiamento. Con l’ambizione di arrivare a fornirgli un “fascicolo personale” che lo rappresenti in modo unitario rispetto alle diverse tipologie e occasioni di relazione con l’amministrazione.

 
 

Ma il cambiamento parte anche da progetti come quello di Hera con la sua app Il Rifiutologo, capace di svilupparsi contemporaneamente dal basso con l’adozione dei cittadini e dall’alto, nel change management di una azienda impegnata sul territorio.

 
 

La trasformazione che stiamo vivendo non si riduce ad un insieme di sensori e tecnologie. I cittadini, le amministrazioni pubbliche, i soggetti privati formano un ecosistema che, grazie alle tecnologie e ai dati, può e deve trasformare i processi e le modalità di funzionamento delle nostre città in una prospettiva di innovazione aperta e condivisa.

To be continued...