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L’intelligenza artificiale per aumentare la comprensione del business

Il futuro parte dalle profondità nascoste dei dati aziendali

 
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Marco Bellinzona
Operations Manager & CEO ORS
 
 

Una delle principali criticità con cui i mercati si sono risvegliati all’indomani dell’emergenza pandemica e geopolitica degli ultimi anni ha coinvolto le catene del valore di ogni settore: all’improvviso il rifornimento di materie prime, ricambi e prodotti non era più scontato. Al tempo stesso, valutare la credibilità e l’affidabilità di fornitori e clienti è diventato molto più complesso, con tempi e costi lievitati a dismisura. Ancora oggi, le catene di fornitura e la difficoltà di analisi impattano in modo evidente su redditività e operatività delle imprese. Una incertezza causata anche da sistemi di previsione basati sulla semplice storicità dei dati, che sono risultati tutt’a un tratto inefficaci ed inesatti.  

Questo scenario ha generato una spinta all’evoluzione tecnologica che avviene raramente con tale intensità, once in a generation opportunity - prendendo spunto da Mitchell Baker (CEO, Mozilla Corporation) e dalla sua lettera aperta all’UE - riportando la comprensione dei dati al centro delle strategie di ogni business.  

 
 

Nuotare in un oceano di dati

 

Immaginiamo i database, i big data, i data lake in nostro possesso, come una sorta di deep web del nostro business. Dati che per anni molte aziende accumulano senza una reale capacità di analisi e modellazione. Con la business intelligence (BI) tradizionale possiamo solo scalfire la superficie di queste informazioni e intravedere potenziali azioni e leve strategiche da adottare. Qui, l’esperienza del manager e dell’imprenditore, il loro intuito e capacità di osservazione, fanno la differenza.  

 

Per andare oltre, l’intelligenza artificiale diventa lo strumento per nuotare in profondità in quell’oceano di dati, comprendendo, analizzando e mappando le informazioni tramite algoritmi costruiti secondo le proprie esigenze, con un margine di errore minimo o prossimo allo zero.

 

Un potenziale che è facile immaginare, con cui ottenere risposte in pochi minuti o spesso in real-time, interrogando grandi quantità di dati al secondo e non più in giorni e ore. Uno strumento che può aumentare la capacità di visione dei top manager più evoluti così come supportare l’operatività quotidiana, a maggior ragione quando può poggiarsi a modelli di data quality e data governance, che sono alla base di una corretta cultura del dato

 

Sprigionare il potere dei modelli data driven

 

Un accurato sistema di previsione, basato sull’acquisizione di dati di qualità, omogenei a prescindere dalla fonte e dalla quantità di flussi da cui provengono (IoT, Social Media, ERP, CRM…), diventa quindi fondamentale per ridurre al minimo le inefficienze e l’impatto sui costi. Qui, gli algoritmi di AI, machine learning e optimization sono imprescindibili per concretizzare i vantaggi di un modello data-driven valido e scalabile. Ad esempio, nel retail e manufacturing, dove la valutazione della domanda per modelli e tipologie di prodotto abilita una programmazione ottimale della logistica e della distribuzione, ed evita costose giacenze di magazzino o merce invenduta nei negozi, garantendo al tempo stesso la disponibilità necessaria in ogni punto vendita. 

 



La capacità di prevedere e di guidare i consumi è cruciale anche in un altro mercato che ha accusato l’impatto della crisi, e che è fondamentale nell’ambito della transizione verso la sostenibilità: quello dell’energy. Per gli operatori di questo settore, razionalizzare la distribuzione e l’allocazione dell’energia, anche per quanto riguarda le fonti rinnovabili, è infatti diventato essenziale in termini di gestione dei costi ed efficientamento. Un’ottimizzazione che porta vantaggi anche all’utente finale, dato che le inefficienze del sistema distributivo impattano pure sui consumatori, a cui possono venire addebitati in bolletta i cosiddetti oneri di sbilanciamento dovuti proprio allo scostamento delle previsioni di consumo.  

 
 

Nella stessa logica, in ambito finanziario, l’analisi del rischio creditizio in momenti di fragilità del sistema economico e industriale è cruciale per evitare l’incremento delle sofferenze. E, in una fase successiva, una gestione efficiente dei non performing loan (NPL) consente di ottimizzare il recupero dei crediti. Sempre in ambito finance, ma nel campo del wealth management, l’analisi dei comportamenti delle persone, dei loro portafogli di investimento e delle transazioni finanziarie, permette di affinare la consulenza profilandola sulla base delle esigenze personali.  

Ma i benefici di questa potente capacità previsionale riguardano anche il mondo della pubblica amministrazione, sia in termini di gestione dell’approvvigionamento che di fruizione dei servizi pubblici. Basti pensare all’importanza che avrebbe, per un Paese a elevato tasso di invecchiamento come l’Italia, la possibilità di prevedere la diffusione delle patologie, le necessità di assistenza connesse, il loro impatto e la distribuzione sul territorio. Per non parlare del concetto stesso di smart city, basato sulla capacità di sviluppare modelli digitali (digital-twin) delle città in cui viviamo. 

Cosa hanno in comune tutti questi esempi? La capacità di sottoporre i dati agli algoritmi di AI che meglio si adattano al singolo contesto, ma, cosa che può apparire sorprendente, che spesso sono molto simili tra loro pur in domini completamente differenti. 

 

Ed è proprio dai dati che parte tutto: quell’incredibile massa di informazioni, derivanti da operatività, ordini, forniture, comportamento delle supply chain e dei consumatori, documenti, immagini e sensoristiche che ogni azienda ha a disposizione.

 

Se la data analysis esiste ormai da diversi decenni, fino a ieri le variabili di cui dovevano tenere conto le imprese nella loro analisi erano definite e governabili. Oggi non è più così: la complessità e la velocità sono aumentate, i cambiamenti sono spesso repentini e difficilmente prevedibili. I dati e la capacità predittiva e interpretativa che ne derivano diventano quindi fondamentali in chiave competitiva, sia per rendere più efficiente il processo produttivo e distributivo, a tutto beneficio della sostenibilità, che per migliorare l’offerta, tagliandola sulle esigenze del cliente. 

 

Il futuro che l’AI apre

 

Siamo entrati in quella che viene definita data intelligence. Una AI che parte dalla ribalta mediatica dei motori conversazionali come ChatGPT e Bard (Google), presi dai più come un gioco con cui familiarizzare, ma che hanno significati e impatti molto più profondi. Basti pensare agli aspetti economici e finanziari che sono in ballo. Da un lato l’investimento di oltre 20 miliardi di dollari di Microsoft in Open AI (ChatGPT) per potenziare la ricerca di Bing, dall’altro la recente (potenziale) causa con il New York Times che ha vietato l’accesso ai suoi archivi alla famosa chatbot, in quanto potrebbe generare articoli che violano la proprietà intellettuale dei giornalisti (tematica tutta da chiarire). Ancora più facile immaginare il futuro a cui andiamo incontro se guardiamo alla crescita e ai risultati dei modelli generativi come Midjourney, ma ce ne sono molti altri in arrivo.  

 

Nel business, le forme di intelligenza artificiale saranno sempre più pervasive, potenti e verticali, basate su modelli specifici, in grado di affrontare e risolvere problemi complessi, con strumenti controllati e controllabili.

 

Insomma, un’AI che non fa paura e non mette ansia, ma che al contrario sa fornire alle aziende risposte concrete e utili per supportare la crescita delle risorse, grazie all’ottimizzazione e all’efficientamento di qualsiasi processo aziendale. Non è un caso che questa tipologia - l’intelligent data processing - rappresenti quasi un terzo del mercato italiano dell’intelligenza artificiale, che ha registrato nel 2022 una crescita record del 32% raggiungendo i 500 milioni di euro, secondo i dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano. Un’evoluzione destinata a proseguire, se è vero che da qui al 2025 si registrerà un incremento medio annuo degli investimenti pari al 22%, stando alle stime di Anitec-Assinform

Ma lo sviluppo del mercato potrà anche essere superiore se l’uso intelligente dei dati si allargherà a tutto il sistema industriale. Oggi, infatti, il 61% delle grandi imprese italiane ha avviato un progetto di AI, quota che scende però al 15% tra le piccole e medie imprese (ma era ferma al 6% nel 2021). La diffusione di questa tecnologia, ormai non più di frontiera, dipenderà da due fattori: l’affermazione tra le PMI, che alimenterà la nascita di nuovi progetti, e la capacità dei produttori di software di dotare di AI le soluzioni di cui dispongono, per raccogliere le nuove sfide che il mercato impone.  

 

Una cultura del dato diffusa per guidare l’AI

 

In quest’ottica, la Deda Data Platform di Dedagroup rappresenta un ecosistema di soluzioni tecnologiche, best practice e competenze per abilitare la governance dei dati aziendali e la loro trasformazione in “intelligenza” per l’azienda. È questa l’AI che risponde alle esigenze concrete del business: un’AI che si fonda sulla possibilità di integrare potenzialità computazionale e competenze trasversali, indispensabili per alimentare un processo interpretativo dei dati che risulti in una capacità previsionale sempre più precisa. 

Certo, i temi che sembra possibile toccare appaiono infiniti e la grande capacità di calcolo trova limiti sono nella fantasia di chi progetta. E rimangono questioni di fondo legate alle incognite etiche sull’utilizzo dei dati, all’affidabilità nel loro trattamento in termini di inclusione e sostenibilità, di sicurezza e di privacy.  

 
 

Ecco perché è così importante che si diffonda, tra le persone e presso le aziende, una vera e propria cultura del dato, intesa come consapevolezza delle potenzialità che i dati racchiudono, ma anche come capacità di selezionarli, integrarli e interpretarli nel rispetto di principi etici, per trasformarli in valore per il business.

 

Proprio in questi mesi, l’Europa si sta dotando di un AI Act che punta a definire un sistema capace di regolare e governare l’uso dell’AI, in un’ottica di tutela e trasparenza. Perché è l’intelligenza umana a guidare quella artificiale, non il contrario. E l’AI può fornire buone risposte solo se le si forniscono i dati corretti e le si pongono le giuste domande. Per adottare un approccio consapevole e socialmente sostenibile all’intelligenza artificiale, è indispensabile continuare a lavorare in questa direzione.