Solo poche settimane fa è stato lanciato il Fashion Climate Fund, un fondo da 250 milioni di dollari da investire in soluzioni che mirino a creare una supply chain che riduca le emissioni di carbonio nella catena di fornitura della moda. Tra i primi finanziatori del fondo ci sono Lululemon Athletica e Schmidt Family Foundation (fondazione privata creata nel 2006 da Eric Schmidt, presidente esecutivo di Google, e sua moglie Wendy Schmidt, per affrontare le questioni relative alla sostenibilità e all'uso responsabile delle risorse naturali).
Si fa sempre più strada nel settore, infatti, una gestione estesa della supply chain, in linea con i temi della sostenibilità e con le nuove logiche ESG ormai imprescindibili nelle strategie aziendali.
Già nel report annuale di McKinsey e BoF “The state of Fashion 2022”, pubblicato nel novembre 2021, si prevedeva, a ragione, che uno degli aspetti più sfidanti per il mondo della moda e del lusso per l’anno in corso sarebbe stata la gestione della supply chain. La carenza di materie prime, i blocchi nei trasporti, l’aumento dei costi di spedizione provocati dalla pandemia, si sommano infatti alla crescente richiesta di maggiore trasparenza e controllo sulla produzione dei capi e degli accessori da parte dei consumatori. La situazione è diventata ulteriormente sfidante con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha aggiunto ulteriore pressione alle supply chain mondiali.
Sulla spinta del contesto appena descritto, le aziende del Fashion stanno acquisendo sempre maggiore consapevolezza sulla necessità di gestire la supply chain in modo esteso, al fine di incrementarne tracciabilità - anche in ottica sostenibile - e reattività.
Secondo McKinsey, le difficoltà riscontrate in questo periodo sono infatti, per le aziende del Fashion, un’occasione per ripensare profondamente i propri processi, riformando in modo strutturale la propria supply chain, implementandone una gestione sempre più estesa e rendendola più flessibile e resiliente grazie alla digitalizzazione, ad un maggiore controllo sui dati in tempo reale e all’integrazione ed orchestrazione centralizzata dei vari flussi.
Tra gli esempi virtuosi di ESG di più lunga data c’è senza dubbio Stella McCartney: “La gestione estesa della catena del valore abilita una maggiore flessibilità del business e reattività nei confronti delle esigenze che emergono dal mercato – commenta Luca Malacarne, CIO di Stella McCartney, nel corso del nostro ultimo Stealth Day 2022. – Fondamentale per implementare una supply chain fattiva ed ecologica sono le tecnologie digitali: avere un ERP solido e ben funzionante ha un grande impatto positivo sul lavoro; oggi abbiamo nomenclature uniformi, maggiore semplicità, agilità e adeguatezza nei processi di business, minori interventi manuali, migliore controllo dei costi”. Non a caso il brand ha appena lanciato in collaborazione con Google e WWF un applicativo che aiuta le aziende del Fashion a capire l’impatto ambientale delle loro scelte riguardo a dove procurarsi le materie prime.
“Entro il 2030 le catene del valore dovranno essere tracciabili e trasparenti”, commenta la docente di SDA Bocconi Francesca Romana Rinaldi, autrice del saggio “Fashion 2030: Reshaping the Future through Sustainability and Responsible Innovation” (L’industria della moda nel 2030: rimodellare il futuro attraverso la sostenibilità e l’innovazione responsabile), in cui sostiene la necessità di un cambiamento radicale e immediato, sia nella domanda che nell’offerta. “Le catene del valore delle aziende di moda saranno tracciabili e trasparenti, affronteranno le sfide legate alla mappatura delle filiere globali e alla condivisione di contenuti che raccontano ciò che sta dietro ai prodotti anche attraverso etichette intelligenti”, aggiunge.
Un altro tema discusso anche dal report McKinsey, di estrema rilevanza, che può contribuire alla creazione di una filiera sostenibile, è la possibile istituzionalizzazione di “passaporti” dei prodotti che contengono dati su come questi sono nati e sul loro impatto ambientale. La digitalizzazione sarà una leva fondamentale in questo caso: da un lato, è importante fornire la necessaria trasparenza lungo l'intera catena del valore e, dall'altro, rendere disponibili tali informazioni a un consumatore sempre più esigente.
Ma questo scenario presenta anche una irrinunciabile opportunità per il comparto: definire procedure e standard comuni per la certificazione della sostenibilità dei tessuti, collaborando a livello di filiera e distretti e facendo leva sull’esperienza unica e l’eccellenza dei produttori italiani. Questo permetterebbe di assicurare ulteriore impulso e rilevanza al saper fare sostenibile del Made in Italy, oltre a un notevole vantaggio competitivo verso i marchi clienti e i consumatori finali.
Fondamentale per implementare modelli di filiera sostenibili sono digitale e tecnologia. Disporre in tempo reale di tutte le informazioni necessarie, coordinate tra i diversi settori coinvolti, permette di fare delle scelte che siano sia ottimizzate dal punto di vista della qualità, che responsabili da un punto di vista ambientale e sociale.
La nostra recente acquisizione della startup Bsamply va proprio in questa direzione. La piattaforma promuove la digitalizzazione del settore raw material Fashion, ed è nata per favorire l’incontro tra i fornitori di materie prime (dai tessuti ai filati, dalla pelle agli accessori) e le aziende della moda e dell’interior design.
Per capire perché abbiamo scelto proprio Bsamply, basta ascoltare la storia del suo fondatore, Andrea Fiume, parte di una famiglia che da quattro generazioni lavora nel tessile: “Bsamply è nata 5 anni fa a Los Angeles e permette ai brand di cercare materiali e seguire il processo d’ordine e ai fornitori di creare uno showroom digitale dove possono campionare e personalizzare il prodotto finito – racconta. – Nasco da una famiglia di imprenditori tessili da parte di mia madre, mentre mio padre è stilista e ha un brand di abbigliamento sportivo, per questo mi sono spesso trovato tra incudine e martello, tra chi vende e chi compra. Ho iniziato anche io a lavorare nel settore e nel 2006, in tempi non sospetti, in cui nessuno ancora parlava di sostenibilità, con Lifegate ho creato una linea di jeans ecologici. È in questo contesto che mi sono chiesto: come si può rendere più sostenibile ed economico il processo di filiera? Così ho deciso di digitalizzarlo”.
Con l’ingresso in Dedagroup Stealth e l’integrazione con il suo ecosistema, Bsamply diventa un vero e proprio hub attraverso cui gli oltre 8mila utenti già presenti sulla piattaforma – storici fornitori del mondo Fashion, così come startup – avranno la possibilità di far conoscere, secondo rigorosi standard di trasparenza, i propri prodotti alle più rilevanti aziende della moda, accelerando così la propria crescita e la portata di innovazione che i loro prodotti possono offrire a tutto il settore. Lato loro, i brand avranno la possibilità di scegliere le realtà che maggiormente rispecchiano le proprie esigenze, anche in ottica ESG. Un importante tassello, quindi, nel percorso intrapreso da Dedagroup Stealth per una governance sempre più estesa della supply chain, anche in ottica di tracciabilità e sostenibilità.