Accorciamento dei tempi di gara, semplificazione delle procedure, riduzione dei contenziosi e maggiore partecipazione da parte delle imprese: i risultati a cui punta il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023), meglio noto come nuovo Codice degli appalti, sono diversi, ma hanno tutti un comune denominatore. Si tratta della digitalizzazione, considerata strumento di modernizzazione, efficienza e trasparenza.
Tutto l’iter procedurale dell’appalto, infatti, viene digitalizzato e, soprattutto, viene introdotta l’interoperabilità delle piattaforme con la Banca Dati Nazionale del Contratti Pubblici (BDNCP), con importanti cambiamenti anche in termini di processi e modalità di gestione.
Una piccola rivoluzione che fa del nuovo Codice degli appalti un elemento strategico per l’attuazione del PNRR e per la realizzazione e attuazione delle politiche pubbliche.
Ma come siamo arrivati fino a qui e, a poco più di un anno dall’introduzione del Codice e a pochi mesi dalla sua piena applicazione, come sta reagendo l’ecosistema dell’e-procurement?
La digitalizzazione dei contratti pubblici risponde alla necessità di mettere in atto in modo concreto quei principi a valenza giuridica che sono stati introdotti in modo esplicito proprio dal nuovo Codice: risultato, fiducia, e accesso al mercato. Non si tratta però di un’esigenza che si è manifestata da poco: al contrario, è il risultato di un percorso che è partito quasi venti anni fa e che si inserisce nel più ampio processo di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione.
Risalgono infatti al 2008 i primi passi verso la digitalizzazione degli appalti pubblici, quando l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, forniture e servizi (in sigla AVCP, autorità da cui deriva l’odierno ANAC), avviò un progetto di evoluzione delle banche dati che puntava alla qualità, certezza, accessibilità e unicità delle informazioni. L’iniziativa intendeva rispondere alle indicazioni del Codice Amministrazione Digitale (CAD) che richiedeva l’interoperabilità dei dati della PA e la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi.
È però nel 2010 che avviene il passo forse più significativo verso un sistema di gestione degli appalti completamente digitale e interoperabile. Con il D.lgs. 235/2010, infatti, fu creata la Banca Dati Nazionale del Contratti Pubblici (BDNCP), che rende disponibili i servizi e le informazioni sull’intero ciclo di vita degli appalti, grazie all’interoperabilità dei dati. Il patrimonio informativo che racchiude, è stato costantemente arricchito e aggiornato negli anni, ed è stato ereditato dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nel 2012.
Altri passaggi importanti verso la piena digitalizzazione sono stati i sistemi per la programmazione economica messi in atto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tra questi, l’assegnazione del Codice unico di progetto (CUP) a ciascuna attività e l’istituzione del sistema di Monitoraggio Opere Pubbliche della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP-MOP) che punta a raccogliere tutte le informazioni necessarie per tracciare il ciclo della spesa per le opere pubbliche, mettendole a disposizione anche dei cittadini in un’ottica di completa trasparenza.
Ma è il PNRR a imporre la vera accelerazione che trasforma il nuovo Codice dei contratti pubblici in uno strumento strategico per l’innovazione della PA. Il Codice è, infatti, anche se indirettamente, parte integrante della Missione 1 del PNRR: è ciò da cui dipende la sua piena attuazione.
Oggi, la nuova normativa rappresenta una sfida per la PA, perché ne rivoluziona processi, procedure, ma soprattutto il modo di relazionarsi con i propri fornitori. Per questo, la sua applicazione avviene in modo graduale. Dal 1° gennaio 2024, sono entrate in vigore le nuove norme che riguardano le fasi di programmazione, progettazione, affidamento e, in parte, la fase di esecuzione. Dall’inizio del 2025, invece, saranno operative alcune norme riguardanti la digitalizzazione dei progetti costruttivi, ampliando così la metodologia di gestione secondo i principi BIM (Building Information Modeling), già in esecuzione. È stata rimandata a questa data anche l’applicazione di alcune norme riguardanti la fase di esecuzione dei contratti pubblici.
L’attuazione del nuovo Codice degli appalti passa per due vie. Da un lato, la digitalizzazione dell'intero ciclo di vita dei contratti pubblici, che abilita l’interoperabilità tra le piattaforme elettroniche e le banche dati, per semplificare i processi e renderli più trasparenti ed efficienti. Questo processo richiede che le piattaforme siano certificate come interoperabili e che possano comunicare con l’ANAC in tempo reale. Dall’altro, la qualificazione delle stazioni appaltanti, che riguarda la loro modalità organizzativa.
Il nuovo ecosistema digitale dell’e-procurement è composto da una serie di piattaforme e banche dati che, grazie all’interoperabilità, comunicano in un sistema presidiato dall'ANAC. Quest’ultima ha il compito di verificare la corretta erogazione dei servizi ma può anche fruire delle informazioni provenienti da queste piattaforme.
L’interoperabilità si attua attraverso la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), che abilita il dialogo tra le singole Piattaforme di approvvigionamento digitale certificate (PAD) utilizzate dalle stazioni appaltanti e la BDNCP, gestita proprio dall’ANAC, che comprende a sua volta ulteriori banche dati e piattaforme strategiche.
Insomma, un sistema che fin dalla sua introduzione si prefigurava come molto articolato: per la sua effettiva implementazione è stato necessario modificare le modalità di lavoro di tutti gli attori coinvolti. Quali sono stati, dunque, gli impatti sull’operatività delle stazioni appaltanti? Gli Enti hanno saputo adeguare in tempo i propri processi? Quali criticità stanno incontrando e come affrontarle?
A inizio aprile, l’ANAC ha rilasciato una nota sui primi risultati ottenuti dall’introduzione del nuovo Codice. In tre mesi di attività sono state avviate attraverso la piattaforma digitale oltre un milione e centomila procedure di affidamento di contratti pubblici per un valore di circa 78 miliardi di euro. Questi numeri permettono di osservare il fenomeno dall’esterno, guardandolo nella sua interezza: anche se sono emerse alcune criticità, il sistema nel suo complesso non si è fermato, anzi.
Le difficoltà riscontrate finora dipendono soprattutto dalla vastità dei cambiamenti, che modificano praticamente tutte le fasi degli affidamenti. Le attività da svolgere rimangono le stesse, ma cambiano gli strumenti e la modalità di esecuzione da parte delle stazioni appaltanti.
Oggi, tutti i nuovi affidamenti devono transitare nel sistema interoperabile di e-procurement. Dato che l’interoperabilità è garantita solo mediante l’utilizzo delle piattaforme di approvvigionamento digitale (PAD) certificate, le stazioni appaltanti hanno innanzitutto dovuto sceglierne una e formare il personale. Nei fatti, non tutte si sono già mosse, anche nell’attesa che l’offerta sul mercato si arricchisca e si adegui o, forse, nella speranza di una deroga alla digitalizzazione. Deroga che appare impensabile, nonostante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto 19/2024, che stabilisce che, fino al 31 dicembre 2025, AgID sarà autorizzata a rilasciare la certificazione delle PAD sulla base di un'auto-dichiarazione presentata dai gestori della stessa. Questo non cambia lo scenario per le stazioni appaltanti, ma potrebbe dare una spinta all’offerta di PAD sul mercato.
In ogni caso, se per i nuovi affidamenti le stazioni potranno fin da subito apprezzare e beneficiare di una serie di automatismi che caratterizzeranno i nuovi documenti nativamente digitali, molto più complesso sarà per quelli già iniziati: occorre infatti completare l’importazione dai vecchi sistemi dei dati degli affidamenti già in corso.
Lo strumento, però, rappresenta solo una parte della novità: sono infatti cambiate le procedure di affidamento. Questo comporta modifiche importanti anche nell’attività delle stazioni appaltanti. È rimasta invariata, per ora, solo la procedura di programmazione triennale che, può continuare a essere svolta dai portali locali: sarà poi il sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a garantire l'interoperabilità. Se da un lato, in questo specifico caso, non stravolgere le modalità di lavoro aveva l’obiettivo di facilitare l’attività delle stazioni appaltanti, dall’altro ha comunque generato qualche difficolta: in tutti i casi in cui il portale regionale utilizzato per la programmazione triennale non sia tra quelle piattaforme di approvvigionamento digitale (PAD) certificate per l’interoperabilità, la stazione appaltante deve occuparsi manualmente della migrazione dei dati verso la propria PAD.
Ciononostante, sono numerosi i vantaggi di cui gli Enti stanno già godendo, grazie all’introduzione della digitalizzazione. Con l’interoperabilità, infatti, l’ottica è mutata: le stazioni appaltanti devono inserire i dati una sola volta; le informazioni poi si distribuiscono sui canali previsti dalla normativa. Inoltre, con un unico accesso, è possibile trovare l’operatore economico per l’affidamento diretto, creare il CIG, oppure dare avvio ad una procedura di rilevanza comunitaria, inviando anche i dati necessari per la pubblicità legale in Gazzetta Europea e sulla Piattaforma per la pubblicità legale di ANAC. Gli adempimenti di trasparenza, inoltre, vengono rispettati attraverso logiche automatizzate, senza la necessità di inserire più volte i dati in luoghi differenti.
Alcuni esperti chiamano questa fase di passaggio al digitale come l’epoca del change management della PA; altri la chiamano sfida di reingegnerizzazione dei processi nel procedimento amministrativo. Ciò che è chiaro è che non si tratta di un progetto di mera informatizzazione e dematerializzazione: la digitalizzazione è definitivamente parte dell’esercizio della funzione amministrativa, in un contesto interdisciplinare.
Come sempre, il cambiamento è una sfida: serve un periodo di adattamento e la cooperazione di tutti nel fare sì che i nuovi strumenti, le procedure e i processi possano esprimere quanto prima quei benefici che vediamo nella riforma.
In questo percorso, però, la Pubblica Amministrazione non è sola: ha al suo fianco il settore privato, che fornisce le competenze, la formazione e gli strumenti necessari. Questo è un impegno che in Deda Next portiamo avanti con convinzione, perché solo attuando con successo la trasformazione digitale, la PA può essere motore dell’accelerazione che serve al nostro Paese.