Si è conclusa la IV edizione del Philip Kotler Marketing Forum (PKMF), evento di marketing strategico tenutosi a Bologna a inizio mese.
Quest’anno il Forum è stato incentrato sul tema del Precision
Marketing, un approccio di ultima generazione che si prefigge di esplorare in
modo scientifico le opportunità e le evoluzioni collegate all’analisi del dato.
Tema molto ambizioso e per il quale io stessa da marketer nutrivo forti
aspettative: finalmente la ricetta corretta per agganciare definitivamente il
mio cliente target.
In due giorni sono state tenute due lectio magistralis che hanno segnato la formazione delle oltre 800
persone presenti. Il primo giorno è salito sul palco Martin Linstrom, fondatore
del neuromarketing, e oggi promotore dell’idea degli Small Data, in apparenza antitesi
del concetto di Big Data. La seconda giornata ha visto come protagonista il Prof.
Philip Kotler, padre del marketing moderno, le cui teorie ispirano l’approccio
al concetto di “fare business” da oltre 20 anni.
Parliamo oramai da diverso tempo di Big Data: quotidianamente
noi stessi, con l’utilizzo dei nostri mobile
alimentiamo questa raccolta incessante di dati, che ci riguardano, e che pare
dicano tutto di noi, e forse anche qualcosa che non sappiamo. Ma è veramente
così? Il racconto oggettivo che emerge dall’analisi dei Big Data, è davvero la
realtà che ci rappresenta?
Martin Lindstrom nel corso del suo intervento apre una
breccia nelle nostre convinzioni mettendoci difronte a dei dati, inconfutabili,
al pari dei nostri amati Big Data: gli Small Data. Benché si pensi di agire la maggior parte del
nostro tempo razionalmente, scopriamo durante il suo racconto che in realtà per l’85% del nostro tempo noi agiamo mossi da impulsi irrazionali. Una
considerazione che ha generato non poco smarrimento in molti dei presenti, me
inclusa. E Lindstrom ha incalzato ancora sottolineando che oggi, ancora più di
un tempo, facciamo fatica ad essere consapevoli di questo perché sempre meno
viviamo il momento presente: i nostri telefoni ci portano a “contattare persone
che non sono al nostro tavolo”, “a documentarsi su posti che non sono quello in
cui ci troviamo”, e siamo sempre meno educati alla noia. “Essere educati alla
noia”, ho trovato questo passaggio fondamentale, nella sua semplicità: dalla
noia si sfugge, la noia sembra un disvalore, e oggi è sufficiente prendere in
mano uno smartphone per porvi rimedio, ma nella noia il nostro cervello
“inventa” modi per non annoiarsi, crea nuove realtà, gioca con pensieri,
immagini e ci costringe a guardarci attorno. Lindstrom afferma “siamo come un
computer che non viene mai spento, rallentiamo ogni giorno di più, abbiamo
bisogno di fare un reset per poter alimentare la nostra creatività”.
“If you want to understand how animals live, you don’t go to the zoo,
you go to the jungle”
- Martin Lindstrom, Small Data – The tiny clues that uncover
Huge Trades: NY Times Bestseller by M. Lindstrom, 2016.
Lindstrom con molto coraggio ha deciso di mettere in atto
questo reset, ed è stato proprio questo a condurlo verso la definizione del
concetto di Small Data. In anni di ricerche, che l’hanno portato ad entrare
nelle case del consumatore e a vivere con lui, ha appreso che le decisioni che
noi prendiamo trovano fondamenta molto più profonde che sono radicate nel
nostro subconscio, legate alla nostra infanzia, ai nostri ricordi, alle nostre
convinzioni. Ed è vero, più di quanto possiamo ammettere: esprimiamo una
preferenza sulla base di un’emozione e non di una veloce analisi
costi-benefici. Personalmente un’affermazione di grande sollievo, la natura
umana è ancora al centro di tutto. Ma
quindi tutto questo come entra nel lavoro del marketer? Le informazioni che raccogliamo
da questa analisi costituiscono gli Small Data. L’invito di Lindstrom a noi
operatori del marketing è quindi di riprendere ad essere osservatori profondi
del mondo e dunque del nostro cliente target al punto di immedesimarsi in lui;
posizionare l’analisi del comportamento umano come uno degli elementi chiave
del nostro lavoro quotidiano, e a quel punto verificare quello che abbiamo
imparato con l’utilizzo dei Big Data.
Vedere salire sul palco il prof. Philip Kotler ha risvegliato
a me, come a molti in platea il ricordo dei tempi universitari dove “il Kotler”
era il manuale da studiare per l’esame di marketing. Per quanto mi riguarda
finalmente ho potuto associare il calore di una voce a quelle parole lette e
rilette tantissime volte. Abbiamo avuto la fortuna di assistere a tutti gli
effetti ad una lezione. Si sono ripercorsi concetti di marketing che tutti noi
avevamo probabilmente affrontato da studenti e, i più fortunati di noi,
sperimentato durante il proprio lavoro. Ecco che con la semplicità che lo
caratterizza, Philip Kotler ci ha raccontato che il Content Marketing è saper
parlare al cliente come ad un amico che ti sta a cuore, e a cui suggeriresti
volentieri quel tal prodotto o servizio perché così potresti aiutarlo a
risolvere un problema. E ancora che è necessario sviluppare una cultura
aziendale e lo si fa decidendo di sposare una causa, prendendosi cura di
qualcosa. Kotler ci presenta poi come il Marketing sia evoluto nel corso degli anni,
concentrandosi nel suo esordio sul prodotto (1950-1970), poi sul consumatore
(1970-1990), quindi sul branding (1990-2010) per poi arrivare al Digital
(2010-2015) e quindi alla contemporanea “Social e Values orientation”
(2015-2020).
Ma ampio spazio nella lezione
viene dato al concetto di Firms of
Endearment (R. Sisodia, J. Sheth, D.B. Wolfe, Firm of Endearment – How World-Class Companies profit from Passion and Purpose, Prentice Hall, 2010.) ripreso
da Kotler: aziende che hanno deciso di organizzarsi in modo diverso, seguendo
principi e valori che incentivano la collaborazione interna e verso l’esterno,
che adottano una policy “open door” verso il top management e che mettono al
centro delle attività quotidiane le persone, intese certo come clienti, ma
soprattutto come dipendenti. La passione e lo stimolo della creatività nativo
in queste nuove strutture aziendali fa sì che la soddisfazione del consumatore
sia massima, e che esse poi risultino essere tra le più profittevoli del
mercato. E il marketing? Ebbene il marketing è esponenzialmente alimentato dal
consumatore stesso che ama queste aziende e i loro brand.
E’ una sfida quotidiana, sia per restare sincronizzati con il
ritmo incalzante endemico del settore, sia per non dimenticare quotidianamente,
che benché si operi per aziende, queste aziende sono composte da persone, e le
relazioni umane sono alla base di tutto. Ben presto ci siamo resi conto in
azienda che concetti come “costruzione del capitale di fiducia” sono per noi il
punto di appoggio di ogni iterazione. E
con questa motivazione abbiamo deciso di curare progetti Crossing Markets che
sottolineino la valenza delle relazioni: parliamo quotidianamente di tecnologia
ma non possiamo prescindere dal fatto che questa tecnologia è al servizio di
persone, che è per le persone, ed è un aspetto che viviamo sia nei confronti
dei nostri clienti sia nei confronti dei nostri colleghi.
In un settore, dove apparentemente l’uomo potrebbe passare in
secondo piano, diventa invece fondamentale che la cultura aziendale sia people-centered,
siano essi clienti o dipendenti, un impegno che in Dedagroup perseguiamo ogni
giorno.